P.E.A.R.T., The Robotic Drum Machine.

peart

Uno dei fattori decisivi per taluni meccanismi robotici è quello antropomorfo, ossia quanto gli automatismi della macchina riflettano caratteristiche umane credibili. Questo vale anche per quegli automi che non hanno una forma simile a quella degli esseri umani, ma ne emulano efficacemente il loro funzionamento. Questo ‘realismo’ viene persino superato da P.E.A.R.T., ossia Pneumatic and Electronic Actuated RoboT, nome che in realtà cela anche un omaggio a Neil Peart, iperattivo batterista dei Rush. Si tratta di una serie di componenti pneumatici interfacciati da attuatori e dal protocollo MIDI, che rendono la percussione delle componenti di una batteria acustica addomesticata alla sequenza e la tempistica programmata. Realizzato da Frankie Graffagnino, Michael DeRouen, Jeremy Moreau e Jackie Robertson della University of Louisana, l’esperimento rende efficacemente la differenza col mettere in sequencing i rispettivi campioni. Essa, quindi, non è solo concreta, ma profondamente concettuale. Non c’è, infatti, solo un fattore d’emulazione ben congegnato, ma un moltiplicarsi di braccia che possono ottenere risultati ‘inumani’ con la stessa attrezzatura acustica. Questa iperfunzionalità visualizza inequivocabilmente un ulteriore aspetto della riprogrammazione del reale, amplificandolo in direzioni inedite.