(In)Security Camera, una tipica relazione sociale.

(In)Security Camera, ideata da Benjamin Chang, Silvia Ruzanka e Dmitry Strakovsky, è un’installazione interattiva realizzata per mezzo di una videocamera collegata ad un computer dotato di un particolare software, attraverso cui si ottiene una visione sofisticata. La videocamera è progettata per inquadrare, zoomare e seguire soggetti in movimento che transitano davanti al suo campo visivo. Lavora sulla base di complessi algoritmi, propri dei dispositivi dotati di intelligenza artificiale, in uso attualmente presso l’esercito e le forze di sicurezza statunitensi, arrivando a valutare vari livelli di minaccia e rispondendo adeguatamente in tempo reale. Tuttavia, dal filmato presente sul sito, notiamo come la videocamera si mostri leggermente insicura. Ossia, si spaventa facilmente per i movimenti bruschi, è “timida” con gli sconosciuti e tende a distogliere il contatto diretto con gli occhi, rivelandoci la sua fallibilità, nonché caratteristiche tipiche della personalità umana, e dunque facendoci propendere istintivamente verso sentimenti di affetto nei suoi confronti. Il rapporto che si instaura tra noi e la videocamera diviene così una “relazione tipicamente sociale”, come secondo le ricerche dello Stanford Research Institute sulla progettazione di interfacce grafiche amichevoli, volte ad abbassare lo stress indotto dalle nuove tecnologie. L’ installazione, inoltre, ricorda l’Alive Project del Media Lab, inerente allo studio di agenti software che interpretino l’espressione del viso dell’ utente grazie ad una telecamera, per capire il suo stato d’animo e anticipare le sue reazioni. In ultima analisi, il ribaltamento della relazione tra un sistema di sorveglianza e i soggetti sorvegliati ci fa riflettere sul dualismo tra privacy e sicurezza, argomento di dibattito appassionato, soprattutto dopo gli eventi dell’11 settembre: dal momento che non sarà possibile arrestare lo sviluppo di strumenti sempre più raffinati adibiti al controllo, un accesso paritario alle informazioni, o, almeno, a buona parte dei dati disponibili, sia da parte di chi controlla, sia da parte di coloro che sono controllati, attraverso adeguati strumenti giuridici, come ad esempio la legge sull’accesso alle informazioni pubbliche, Freedom of Information Act, agirebbe come deterrente nei confronti di possibili abusi.