Lawrence English – Cruel Optimism

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CD – Room40

Non impressiona certo, né rappresenta una novità, se nell’ambito della sound-art gli immaginari agitati sono quelli tipicamente distopici, ispirati – come in questo caso – da una piuttosto generica critica alla società iperliberista e globalizzata. Nemmeno se questi temi vengono mossi da un autore serio come Lawrence English, sperimentatore australiano che già ci ha abituati sia a citazioni rievocazioniste della storia dell’avanguardia musicale contemporanea (Approaching Nothing), sia a trattazioni più intime e comunque rarefatte nelle trame (Fable con Stephen Vitiello su Dragon’s Eye Recordings), un tale sottotesto interpretativo – svincolato da sostanziali e più specifiche interazioni contenutistiche – riesce perfettamente nel dare un significato differente ai suoni, che a nostro avviso rimangono comunque rilevanti solo per quello che esprimono formalmente: un raffinato esercizio di stile nel novero di un approccio ambientale, dalle sequenze sensibili ed enfatiche, parecchio dilatate ed epiche, risonanti e in un certo qual modo anche beatifiche, quietiste. A proposito di Cruel Optimism, seppure il progetto è da metabolizzare come una trattazione vibrante ma che non ha altre frecce a disposizione se non quelle delle sue eleganti stilizzazioni, Lawrence English tiene a sottolineare che “questo è un disco sul potere e su come esso riesca a condizionare due aspetti fondamentali dell’umanità: l’ossessione e la fragilità”. Il tutto allora, rimanda a una coerenza più che altro interna all’opera, che ha a che fare maggiormente con la sensibilità dell’autore, in bilico fra una dimensione “privata” e un’altra più “politica”. Non è un caso allora che il titolo dell’uscita alluda alle teorie di Lauren Berlant, autore per il quale una relazione di crudele ottimismo sussiste quando qualcosa che si desidera è in realtà un ostacolo al nostro fiorire. Il risultato di questi intrecci teorici-esistenziali è comunque assai coinvolgente ed evoca – questo sì – il fallimento di una “good life”, il ripiegarsi intimistico delle coscienze nelle ultime decadi, una percezione nella quale mai possiamo completamente porre fiducia. Alla Room40 sono avvezzi ad autori di non facile metabolizzazione, seppure portatori d’una certa grandeur – basti pensare a Taylor Deupree, Kenneth Kirschner, Richard Chartier e Marina Rosenfeld, solo per fare alcuni nomi – la scelta di Lawrence English conferma questa attitudine e non lascia indifferenti, riuscendo a confondere ed appassionare anche gli ascoltatori più esperienziati e dubbiosi.

 

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