Tung-hui Hu – A Prehistory of the Cloud

prehistory-copia

MIT Press, ISBN: 978-0262029513, English, 240 pages, 2015, USA

Uno dei principali problemi con la percezione di contenuti digitali viene con la negoziazione del divario tra lo spazio virtuale invisibile e le infrastrutture fisiche attraverso le quali ci muoviamo. Pensate alla sensazione sconcertante di guardare un server lampeggiare, cercando d’immaginare la quantità di dati e processi fisici in corso all’interno. Questa esperienza anche contrasta duramente con la scala materiale d’informazioni che abbiamo usato per secoli. Questo è un punto di partenza per Tung-hui Hu, che non si ferma ad esplorare la materialità dei data center (le involontarie estetiche poeticamente illustrate in Internet Machine di Timo Arnall), ma spiega in modo efficace la potenza metaforica del “cloud”: essere luce , galleggiante, sempre disponibile da qualche altra parte, nonostante la sua “forma amorfa”, come Tiziana Terranova descrive. Hu è in grado di far confluire i molteplici e differenti aspetti di questo concetto che ha pervaso l’infrastruttura di rete e il nostro tecnologico immaginario quotidiano così potentemente, speculando in modo acuto su data-center, derivati ​​da vecchie tecnologie e protetti come strutture militari, dislocati anche in bunker, dove si consuma una quantità oltraggiosa di energia elettrica. Il teorico sottolinea un argomento importante contro i centri dati: “c’è una sola maniera con la quale è possibile vedere una nuvola: da lontano”. Dalla descrizione di Hu, l’intera infrastruttura digitale – destinata a duplicarsi ed a essere dislocata nell’ordine di preservare – si presenta quindi come una bestia gigante, che durerà mentre continuiamo a dargli da mangiare, ma non oltre quello.