Idan Hayosh, minacciose esposizioni di ordine

Idan Hayosh

Dietro alle serie ordinate di oggetti di Idan Hayosh si cela un insospettabile immaginario bellico. Entrando in una delle sue installazioni ci si trova di fronte a file di oggetti quali lampade, posate, serbatoi per il gas, scooter o ventilatori, accuratamente disposti in formazioni a cuneo. Le figure che ne risultano riproducono forme tratte da poster di aerei militari che Hayosh raccoglieva durante la sua infanzia in Israele. Delineando le forme eleganti di veicoli supersonici Hayosh ne ottiene figure astratte, attraverso un processo di riduzione simile a quello impiegato nel design di icone a 8-bit. Come nel gioco di Conway, lo spazio è organizzato in unità che hanno uno stato binario, alternativamente vivo o morto. Con la prospettiva a volo d’uccello tipica di un God Game, Hayosh allinea i suoi oggetti in ranghi ordinati, rendendoli surrogati per la contemplazione del potere. La minaccia insita in questo materiale apparentemente inerte è resa evidente attraverso le sue manifestazioni sonore. I serbatoi per il gas sibilano sommessamente in attesa di una scintilla esplosiva, gli scooter suonano i loro allarmi in un coro assordante di sirene mentre le lampade ad alto voltaggio lampeggiano accecando il visitatore quando ne registrano il movimento.
La rappresentazione della guerra è stata fonte di controversie almeno sin dal futurismo. Se le critiche del complesso militare-mediatico si strutturano tra vettori di dominanza e strategie di liberazione, mettendosi alla testa di un esercito di cose Hayosh assomiglia più ad un generale della guerra tradizionale che non ad un militante rivoluzionario. Questa fiducia nel proprio comando riflette una serie di ipotesi contrastanti: un esercito di oggetti è sempre obbediente, ma gli oggetti sono anche fonti di alienazione. Il monologo autocompiaciuto del potere che ne emerge viene interrotto solo dalla necessità di respingere i visitatori dallo spazio dell’installazione.

Matteo Marangoni