Monolith, copyright hacking.

Monolith

L’home taping è sempre stata una pratica comune e privata, pressoché ignorata dalle leggi sul diritto d’autore in quanto circoscritta all’ambito domestico. L’avvento di Internet ha invece reso questa attività non solo pubblica, ma anche vulnerabile agli attacchi dei difensori del copyright, inarrestabili dal caso Napster alle recenti norme francesi. Monolith intende ricondurre l’home taping all’originale sfera domestica sfruttando le peculiarità dell’informazione digitale. Secondo le parole del suo autore, l’americano Jason Roher, l’applicazione è infatti un semplice tool che combina due files coperti da copyright, l’uno chiamato Basis e l’altro Element, e li mescola per creare un nuovo documento, detto Mono, libero da royalites. Sebbene il file generato non contenga alcuna delle informazioni presenti nell’Element, è tuttavia possibile ricostruire l’originale combinando la derivazione col Basis. Si può pertanto riottenere la codifica di partenza, corrispondente al documento protetto, senza incorrere in alcuna sanzione, poiché il file ‘d’autore’ è questa volta derivazione di un documento distribuito liberamente. Il cavillo cui si aggrappa l’esperimento di Roher, un divertissement più che una reale soluzione al dibattito sul copyright, è insito nella natura stessa della tecnologia digitale, secondo cui tutto è composto da uno e zero. Se anche le copie digitali della realtà analogica sono sequenze finite di bits, esistono infatti infiniti modi per rappresentarle, e il detentore del copyright può esercitare il proprio diritto sul contenuto e non sugli algoritmi di codifica e decodifica. Accettando questa distinzione hjelmsleviana tra forma e sostanza del contenuto, allora su Internet non si scambierebbero contenuti ma solo sequenze di bits e la distribuzione di Mono files non infrangerebbe alcuna regola. Ma questo è, nelle intenzioni di Roher, solo un modo ‘per confondere le acque del dibattito sul copyright digitale’.