Arabesk 24, percezione narrativa astratta.

Arabesk 24

Arabesk 24 di Gijs van Bon se da una parte può essere assimilato alle espressioni artistiche che dagli anni Venti presero il nome di Arte Cinetica definita da Bruno Munari e da Umberto Eco come “un genere di arte plastica in cui il movimento delle forme dei colori e dei piani è il mezzo per ottenere un insieme mutevole”, dall’altra vuole sottrarsi ad una catalogazione esclusivamente dinamica rivendicando, attraverso una antropomorfizzazione delle componenti meccaniche e della loro interazione sia reciproca sia con l’utente, velleità narrative astratte. Estendendo l’opera verso una resa percettiva più articolata del costrutto formale e dell’interazione con il contesto ambientale, acquistano rilievo gli aspetti percettivi fisici e dinamici concernenti la ricezione. A questo punto, non importa che l’oggetto sia contestualizzato, esso al contrario può esistere indipendentemente come creazione fine a se stessa interpretabile all’infinito da chi osserva alla stregua di una rappresentazione fantastica che assume di volta in volta l’identità che le viene attribuita. Tecnicamente Arabesk 24 è formato da cinque pannelli bianchi che si muovono insieme grazie a dei motori che iniziano a girare quando il sensore corrispondente viene attivato. In questo modo lo spettatore si trova a vagare all’interno di una coreografia della quale entra inevitabilmente a far parte grazie alla sua involontaria capacità di stimolare i sensori. Assumendo il ruolo di sorgente dalla quale derivano i movimenti, l’individuo assurge a co-autore dell’opera che, richiamando la definizione di Umberto Eco, “diventa aperta in quanto genere formato da una costellazione di elementi interagenti in modo che l’osservatore possa rivelare -attraverso una scelta di interpretazioni- differenti combinazioni possibili e intervenire effettivamente modificando la modificazione reciproca degli elementi”.