Overheard in New York: The Voice of The City.

Overheard in New York

L’ossessione per la memoria che le instabili reti telematiche hanno inculcato si tramuta, in taluni casi, in archiviazioni seriali, onnicomprensive, che tentano di preservare testimonianze e documenti per una futura eterea memoria digitale. Ma gli infiniti canali di comunicazione attivabili dalla rete in entrambe le direzioni coccolano l’attitudine a contribuire a progetti di archiviazione più estemporanei e che danno una gratificazione immediata per il contributo che insieme riescono a restituire alla stessa comunità. Overheard in New York: The Voice of The City, diretto da S. Morgan Friedman e Michael Malice, ad esempio, è un fiorire incontrollabile di contributi perfettamente credibili, che riportano brevi dialoghi origliati negli spazi pubblici della Grande Mela, completi di luogo e descrizione dei protagonisti e titolate sarcasticamente aggiunti dai redattori. Uno schema collaborativo che, in questo caso, realizza delle fotografie testuali di dialoghi in luoghi pubblici. Momenti effimeri e passeggeri, irripetibili come, appunto, una fotografia, testimonianze temporali che descrivono in una fulminea brevità una scena completa di vita vissuta, spaccati di New York immediatamente visualizzabili nella mente dei fruitori. Il vecchio adagio “se questi muri potessero parlare” viene qui implementato in una perenne spezzettata sceneggiatura scritta attingendo dal vivo e riportandone i pezzi sul web.