Biomediale. Contemporary Society and Genomic Culture

Dmitry Bulatov

The National Publishing House “Yantarny Skaz”, ISBN 5740608537
Nel costruirsi di una sua propria autonomia la Bio Art (termine definito da Jens Hauser, curatore della seminale mostra ‘L’Art Biotech’ come un “obbrobrio etimologico”) sta attraversando le necessarie fasi evolutive per una definizione compiuta, conquistando un’autonomia concettuale che prescinda dai soli mezzi utilizzati. Le file si possono trarre a partire da un oscuro immaginario storico che attinge, ad esempio, all’antico concetto di ‘chimera’, creatura ibrida composta da diverse specie, che esprime una sua coerenza compositiva, insieme paradossale ed efficiente. Le sfaccettature implicate dallo sporcarsi le mani con il materiale organico nei suoi elementi costitutivi (geni, cellule, proteine, ecc.) sono molteplici, come l’analizzare il corpo femminile in quanto laboratorio tecnologico contemporaneo (nelle performance del collettivo subROSA) contrastando concettualmente gli imperanti modelli eugenetici di sviluppo, o l’applicazione di collaudati schemi di appropriazione della conoscenza, come l’Open Source DNA di Eugene Thacker. Il fermento a cui hanno dato vita su fronti molto diversi i Critical Art Ensemble ed Eduardo Kac ora può essere riconosciuto filtrando opportunamente il flusso mediatico di annunci industriali in tema, effettuato qui da Ricardo Dominguez, o ricostruito attraverso le riflessioni sui cloni e le loro mediatizzate riproduzioni di Birgit Richard. In questo modo si riesce ad ottenere il polso del silenzioso conflitto che avvolge questi temi. In tempi in cui l’intervento umano sulle creature organiche è della stessa portata di quello dei decenni passati sull’ambiente, e la costruzione del vivente è un dato di fatto, la definizione di posizioni critiche ampiamente condivise diventa il perno sociale attorno a cui far ruotare lo sviluppo culturale di queste tecnologie.