Florian Wittenburg – Beyond The Traceries

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CD – Wandelweiser

La parola inglese “tracery”, “flechtwerk” in tedesco, in italiano potrebbe essere tradotta in molte differenti maniere, innanzitutto “intreccio” che ben s’adatta all’idea di una musica elettronica molto manipolata, ma anche “ricamo”, o “intaglio”, o “disegno”, che testimonierebbero della delicata precisione delle sonorità messe in campo da Florian Wittenburg, mai quietiste e troppo concilianti, eppure fragili costruzioni realizzate in larga misura sulla modulazione di patch realizzate dall’autore e poi agite in tempo reale. Già nella prima composizione, che dà il titolo all’album – la frase citata è ispirata da una poesia di Eric Pankey – è il linguaggio deformato, allungato nel tempo in due maniere differenti, che dà origine al rumore bianco, creando costantemente combinazioni differenti. In “Noise Bowls” part 1 e part 2 sono utilizzate due coppe di vetro e le sonorità droniche che ne derivano sono in continua evoluzione nel tempo, producendo sempre nuove combinazioni permanenti, in un’ambientazione complessivamente piuttosto mistica, siderale e sintetica. A formare idealmente un intermezzo tra queste composizioni più meditative ci sono due pezzi al vibrafono chiamati moving thirds, in realtà due diverse riprese dello stesso brano che risuonano entrambe in maniera sospesa e cristallina, ipnotica e ripetitiva. “Of Exile”, quarto brano in scaletta, è il più cupo e risucchiante della serie, distinguiamo delle field recording naturali e dei frammenti di frasi, anche in questo caso pesantemente manipolati. Il continuum, nell’alternanza degli approcci differenti, funziona bene e l’ascolto è molto gradevole, diluito in soli trenta minuti, che per alcuni potrebbero sembrare pochi ma che invece condensano bene le idee messe in campo. L’uscita è pubblicata da Wandelweiser Editions, etichetta che è in primis un collettivo di editori e musicisti d’avanguardia con ramificazioni in ogni dove nel mondo, marchio che è particolarmente focalizzato sull’idea d’una musica silente, sulla scia delle teorizzazioni di John Cage e di un “tempo come avente una propria struttura: non come qualcosa che gli è stato imposto dall’esterno dalla musica, ma qualcosa che è già presente, che esiste accanto alla musica”.