Okkyung Lee – Cheol-Kkot-Sae

okkyung-lee-cheol-kkot-sae

CD – Tzadik

Okkyung Lee è una violoncellista sudcoreana di scuola improvvisativa, artista piuttosto eclettica che già dal 2000, anno del suo trasferimento a New York, ha lavorato mettendo assieme molteplici ispirazioni, come solista e in progetti collaborativi, fra jazz, musica classica occidentale o in produzioni musicali caratterizzate dagli esotici suoni della sua terra d’origine. Insomma, dopo oltre trenta album alle spalle, Okkyung Lee ha organizzato un avvincente collettivo, chiamando il sassofonista free form John Butcher, il percussionista tradizionale Jae-Hyo Chang e poi Lasse Marhaug, che è un musicista poliedrico, dedito all’elettronica eccentrica, a suo agio con loop, suoni digitali e allo stesso tempo cultore del noise più estremo. Non completamente soddisfatta da questo assortimento ha aggiunto Ches Smith e John Edwards, il primo percussionista e l’altro bassista. Il combo è a sua volta completato dalla voce di Song-Hee Kwon, cantante di pansori, un genere di narrazione musicale coreana, caratterizzato dall’utilizzo del tamburo buk. Cheol-Kkot-Sae (Acciaio-Fiore-Uccello), questo il titolo della lunga suite, all’incirca di 40 minuti, è stata commissionata a Lee dall’emittente radio tedesca SWR2 ed è stata registrata dal vivo nel 2016 al festival di Donaueschingen, oltre a vantare come produttore esecutivo un nume tutelare delle contaminazioni di genere come John Zorn, fondatore e direttore artistico della Tzadik, etichetta sulla quale adesso vede luce l’uscita. Il connubio d’elettronica, noise e improvvisazione, musica tradizionale coreana, melodie e dissonanze, non può certo lasciare indifferenti all’ascolto, dando vita a molteplici combinazioni e malie, non totalmente inconsuete ma comunque con un loro gusto distintivo, articolato fra primitivismo, contemporaneità, poesia e narrazione popolare, in una giravolta di sovrapposizioni e passaggi rituali non sempre espliciti e prevedibili nella loro complessità ma di coerente costruzione e indiscusso pregio. “Da bambina in Corea, la mia formazione musicale si basava in gran parte sulla tradizione classica europea e sul suo senso ideale di bellezza”, dice Okkyung Lee nelle note dell’album, sottolineando poi che il recupero delle tradizioni musicali del suo paese nativo sia avvenuto solo successivamente, come una sorta d’impronta che non si cancella e ritorna rinvigorita dall’ibridazione con altre esperienze, perché infine non esiste nessun nucleo reale della propria identità e tutto quello che riguarda ogni forma artistica è in continua perenne mutazione.

 

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