Magnetophone, recombining sonic resonances

Magnetophone

The Magnetophone, dell’artista sloveno Hrvoje Hiršl, consiste in un telaio metallico rettangolare che alloggia 12 testine magnetiche di riproduzione e/o registrazione e un sistema di ruote che aziona un nastro magnetico in un circuito chiuso. Le testine riproducono o registrano sul nastro in diversi punti della sua lunghezza, in modo che le registrazioni precedenti vengono riprodotte o cancellate dalle nuove (ri)registrazioni in modo casuale. Ciò si traduce in un frammentato ritratto multistrato di uno spazio acustico dinamico e di una macchina sonicamente “consapevole”. Poiché le registrazione possono iniziare in qualsiasi punto spazio-temporale del nastro, un loop di feedback di un punto multi-entrata registra e da vita a una macchina-monologo. Supponendo che il punto di partenza è un nastro vergine, le registrazioni aumentano per complessità e gradualmente degradano la memoria acustica del processo. Il Magnetophone – in quanto ricombina e ri-amplifica le proprie risonanze sonore nello spazio – è per molti versi simile a una ben nota opera di Alvin Lucier “I am Sitting in a Room”. Il lavoro di Lucier, di ri-registrazione di un passaggio del testo, documenta la progressiva disintegrazione del linguaggio parlato in puro suono. Come nel lavoro di Lucier, The Magnetophone registra sia il suono della propria “voce” che le frequenze di risonanza o che si creano nella stanza in cui è collocato. Nel corso del tempo i suoni caratteristici vengono ricombinati e ri-registrati in modo che diventino sempre più distanti dagli originali attraverso l’interazione di armonie spaziali risonanti. La registrazione e la riproduzione multipla crea un processo di registrazione e di feedback iper-spaziale in maniera tale che dopo tante iterazioni riproduzione/registrazione rimane solo un’astrazione sonora di profondi, distorti, echi saturi, come una firma sonora dello spazio stesso. Paul Prudence

 

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