Franck Vigroux – Magnetoscope

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CD – Raster

Se “la società futura agisce già su quella presente”, la vita degli anni ottanta, quello che Franck Vigroux chiama senza mezzi termini “un periodo terrificante”, era già permeata da una forte alterazione del rapporto fra naturale ed artificiale. La distopia di Blade Runner, i colori Polaroid, i neon e l’estetica del videoregistratore VHS – in francese Magnétoscope – costituiscono il fondamento concettuale delle forme sonore ora agite dal maestro transalpino, dispensate lungo le undici composizioni, che davvero algide e ispirate costituiscono la base strutturale di questa uscita a marchio raster. Insomma, il mondo di oggi è iniziato molte decadi fa e per riflettere adesso su una realtà assolutamente sintetica non è obbligatorio coinvolgere una qualche ultimissima intelligenza artificiale. Del resto a Parigi già in Les Immatériaux, la mostra di Lyotard del 1985, s’avevano idee ben chiare su come la produzione tecno-scientifica e il linguaggio logico-matematico innestassero nuovi codici nelle nostre esistenze. Non è un caso che in “VHS”, traccia d’apertura certo molto coinvolgente e teatrale, l’approccio sia subito ossequioso di stilemi pop, oppure che nella successiva “L.A.” vi si riconosca l’intento d’una trasversale citazione di romanticismo cibernetico, à la mode di Vangelis, un autore che ha segnato profondamente l’immaginazione metropolitana e futuribile, diventando uno dei principali modelli di feticismo pre-internettiano. Come sempre si cerca di mettere in scena in primo luogo ciò che cambia, come se il futuro non fosse già arrivato e passato. In questa prospettiva quello di Vigroux è un esercizio di retrofuturismo estremo, con strati sonori che ammiccano a certo electro siderale e ambient, ad esempio in “Cassette” o nell’astrazione di soundscape elegiaci e liquidiformi, in “Stream”. Non mancano soprattutto nella parte finale del progetto, passaggi dettati da un climax teso e ancor maggiormente cinematografico, collisione di più memorie e generi. È il caso di “Paris NYC” dove ci s’imbatte in scansioni rotte e sperimentali, quasi anni novanta, venate da vocal maschili effettati ed influssi prog-psichedelici, o nella finale “Nuit”, ossessiva e urticante, potenziale hit aliena, un brano crudo, noisy e cosmico, che potrebbe anche annoverare un utilizzo dancefloor. La tavolozza di suoni, sintetizzatori analogici, drum machine e cesure nei ritmi, rimanda anche alla precedente uscita su formato esteso di Vigroux – Ballades sur lac gelé – e ne è in qualche modo la sua conseguente evoluzione, ancor meglio spettacolarizzata e intrisa di pulsante decadentismo postmoderno.

 

Franck Vigroux – Magnetoscope