Andreas Broeckmann – Machine art in the twentieth century

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MIT Press, ISBN: 978-0262035064, English, 376 pages, 2017, USA

Coloro che hanno familiarità con li progetti di Andreas Broeckmann, prima al V2 di Rotterdam, e poi come direttore artistico a Transmediale, possono riconoscere in questo testo diverse parti della sua lunga indagine sull’arte “meccanica”. Tenendo traccia delle esibizioni da lui curate e dai testi scritti nel corso degli anni, è possibile riconoscere alcuni punti di vista famosi del passato, su un percorso che porta a questo libro. Qui cerca in maniera sistematica di collegare l’ubiquità della macchina e i concetti riguardanti alle macchine con un numero di progetti artistici e le loro direzioni differenti, definendo così 5 qualità fondamentali dell’estetica delle macchine: associativa, simbolica, formale, cinetica e automatica. Incorniciata in un percorso storico coerente, alcuni artisti vengono messi in risalto, tra i tanti, David Rokeby e Stelarc, che possibilmente usano il corpo come macchina esterna e interna, ma partendo anche dalla decostruzione della macchina con Jean Tinguely, fino ad arrivare agli ambienti digitali squisitamente imperscrutabili di Seiko Mikami. Broeckmann chiaramente rifiuta la definizione del genere “machine art”, rendendolo piuttosto meno ambiguo, e dal punto di vista storico risulta scettico riguardo tutti i tentativi di definire singolarmente l’arte in relazione ai mezzi tecnologici connessi. Ma le opere d’arte e le esibizioni che analizza e descrive formano una cartografia concettuale di riferimenti intercorrelati che possono essere usati come un livello di base trasparente per capire la piccola galassia delle macchine nell’arte.

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