The Deleted City, archeologia del social web

Chiara Ciociola

Il progetto Deleted City di Richard Vijgen è una visualizzazione interattiva (interactive data visualization) della miriade di dati ospitati sul servizio gratuito di hosting web Geocities, molto popolare agli albori del web commerciale. La fortunata metafora che caratterizzava questo sito era quella della città: gli utenti potevano facilmente creare le proprie pagine web, scegliendo la “città” in cui abitare in base al contenuto offerto: per esempio “WallStreet” come area tematica di finanza e business, oppure “Vienna” per la comunità di appassionati di musica classica, etc. La traslazione digitale dell’immagine della città era un concetto intuitivo in un momento storico (parliamo del 1995) in cui Internet era ancora un terreno inesplorato e alquanto ostico per i non addetti. L’accessibilità simbolica della metafora “urbana” unita alla pratica di facile utilizzo del servizio ed ovviamente alla gratuità, sono state le cause della crescita esponenziale di Geocities: nel Giugno del 1997 era già diventato il quinto sito più popolare di tutto il Web di allora. L’acquisizione da parte di Yahoo nel 1999 coincise con svolta più sfacciatamente commerciale nella sua gestione, che con l’emergere incalzante dei primi social network, come MySpace. ha portato moltissimi utenti ad abbandonarlo via via. Questo lento declino si è concluso nel 2009 con la chiusura definitiva del sito da parte di Yahoo, lasciando tutto il suo archivio offline e trasformando l’affollata città digitale in una sorta di sito archeologico sepolto. L’opera interattiva Deleted City va ad effettuare metaforicamente gli opportuni scavi, risultando una sorta di “Pompei digitale” (così infatti la definisce l’autore), poichè al pari delle intatte rovine dell’antica città partenopea, cristallizza gli ultimi momenti del sito appena prima del suo abbandono. I dati necessari alla visualizzazione sotto forma di mappa di Geocities sono stati ricavati dal back up effettuato dall”Archive Team” appena prima del suo switch off. Il design dell’installazione software è chiaro e funzionale: su uno sfondo blu scuro una quantità di forme squadrate di un azzurro cinereo identificano le città e i quartieri, modificando la loro trasparenza in base alla densità dei corrispettivi abitanti, con un risultato che ricorda una classica radiografia ma anche una foto aerea di rilevazione di siti archeologici, in cui si rendono visibili le piante (squadrate) delle abitazioni antiche, attraverso l’assenza o la presenza di erba sul terreno (crop marks). Navigandola tramite touch screen la mappa permette un’affascinante immersione nelle “primitive” modalità di espressione sociale attraverso il web. Come osservatori privilegiati di questo enorme sito archeologico digitale, possiamo sbirciare frammenti e pixel di quello che Olia Lialina definisce come “digital folklore” (link alla recensione del libro), ma soprattutto abbiamo l’opportunità di osservare una visione d’insieme, impossibile da ottenere perdendosi nei meandri dei dati di uno sconfinato back up.