Troblion, sfera di silicone affettiva

Troblion

Come può un semplice oggetto autonomo, con una forma universale diventare “emotivo”? I nostri sentimenti ancestrali sono attivati da meccanismi molto semplici che vengono innescati dalla necessità di migliorare la conservazione e la riproduzione in un ambiente naturale. Ma quando gli oggetti artificiali cominciano a comportarsi allo stesso modo, rischiamo di essere intrappolati da ciò per cui il nostro cervello è stato programmato (l’istinto). “Troblion” di Stefan Schwabe è un robot sferico, che semplicemente si lascia rotolare in un terreno sabbioso parzialmente bagnato. Il software utilizzato per programmare Troblion decide le direzioni del suo movimento. Dopo un po’ la superficie viene ricoperta da uno strato di sabbia indurita. La plastica della superficie della sfera scompare sotto la sabbia e il suo aspetto diventa più “naturale”, e comincia a sembrarci più “familiare”. Ma più si copre con la sabbia, più diventa pesante. Finchè ad un certo punto non è nemmeno più in grado di muoversi. A questo punto ha bisogno di scuotere la sabbia, e attua questa necessità deformando la sua pelle di silicone. I pezzi di sabbia rimangono lì intorno per un po ‘, a testimonianza della sua attività precedente, che inizia nuovamente di lì a poco. Trattandosi di un archetipo, la sfera facilita la proiezione di qualsiasi forma di essere. Così il Troblion per noi lentamente diventa vivo, e i suoi movimenti che arrancano diventano perfettamente logici nel suo ambiente, rafforzando la nostra percezione di esso come essere autonomo. Così l’originale sfera di silicone diventa accattivante, innescando la nostra esigenza primaria di relazione con le altre creature.