Nowhere / Now / Here, contemplare il lavoro della macchina

LABoral

Nowhere / Now / Here photo set

Nowhere / Now / Here è una mostra con 78 lavori di 67 artisti provenienti da 20 paesi, in esposizione fino a fine aprile al LABoral, Centro de Arte y Creación Industrial of Gijón. La mostra, per la curatela dei designer spagnoli Roberto Feo e Rosario Hurtado, si colloca sulla linea di confine tra arte e design per scoprire che quella linea non esiste più, si è dissolta aprendo il campo a nuove pratiche in grado di interpretare la mutevole realtà contemporanea e di dar forma al futuro. Le tre aree tematiche (Material Intervention, Psychological Exploration e Cultural Resistance) individuano altrettanti filoni di ricerca e offrono una mappa utile per chi provi ad orientarsi tra le principali traiettorie del design contemporaneo. I curatori hanno scelto di rinunciare a rigide categorizzazioni nella consapevolezza che tale esigenza è una preoccupazione esclusiva del mercato, l’area espositiva accoglie dunque opere realizzate con gli approcci e i media più differenti: dagli azulejos dei designer portoghesi Pedrita alla realtà virtuale dell’inglese Marc Owens. Feo e Hurtado, nel proporre lavori rispetto ai quali provano affinità elettive, hanno scelto di favorire l’incontro tra le opere, che sono dunque proposte in piccoli gruppi e sono accomunate da tag identificativi (a titolo di esempio: solitudine, memento, simbiosi, espansione, assenza, finzione, ecc.) che, per quanto possano sembrare arbitrari, finiscono per rappresentare altrettanti input dai quali scaturisce un naturale dialogo tra i diversi approcci al design. La sensazione del continuo rimando dialettico che le opere in esposizione fanno l’un l’altra è favorita anche dall’allestimento (curato della designer asturiana Patricia Urquiola) che dà vita, pur nella fluidità del percorso, ad alcune micro-isole di senso. Abbandonandosi alle correnti ci si scopre a navigare dall’invito alla riappropriazione degli spazi pubblici espresso da Santiago Cirugenda con le sue ‘Recetas urbanas’ e reso esplicito da un bellissimo video che ha come protagonisti alcuni coloratissimi Playmobil (i famosi pupazzetti di plastica che hanno accompagnato i giochi di tante generazioni di adolescenti), alla degustazione dei piatti preparati dalla “telemadre” pioniere dell’omonimo progetto di social network sviluppato dal collettivo spagnolo mmmm… . Ci si imbatte nelle architetture di Pablo Valbuena, nelle quali al livello fisico se ne sovrappone uno virtuale rappresentato da una proiezione che altera il modello 3D fornendo allo spettatore la sensazione di essere di fronte a una geometria suscettibile di infinite trasformazioni; si rimane impressionati dalle tante opere che indagano la relazione tra design e cibo, come Tithi Kutchamuch e le sue tavolette di cioccolato “extra less”, oppure ‘Somos lo que comemos’ del duo Zanuka. Ancora, si rimane estasiati nel seguire il progressivo trasformarsi in candele di alcuni stoppini legati a fili sottili portati in alto e poi, dolcemente, immersi nella cera bollente dalla macchina creata da Studio Glithero (Sarah van Gameren e Tim Simpson). ‘Panta Rei’ è l’appropriato nome dell’installazione e in effetti è proprio questa lentezza inesorabile del procedere ad indurre il rapimento estetico in chi guarda. Nell’opera del duo anglo-olandese è possibile apprezzare anche la contemporaneità della presenza sulla scena della macchina e dei sui prodotti (le candele). Nell’epoca che viviamo, il parossismo di un consumismo senza più freni (elemento centrale anche in altre opere in esibizione) ha focalizzato l’attenzione di tutti noi sui prodotti, facendoci dimenticare i processi attraverso i quali quegli stessi prodotti giungono alla nostra portata. Nello stato di intossicazione al quale siamo giunti, contemplare il lavoro di una macchina fuori dal tempo e dalla relatà è come essere accarezzati da un soffio di romanticismo, un attimo tanto piacevole da indurci a indugiare.

Vito Campanelli