The Originality Engine, nulla si crea, nulla si distrugge.

The Originality Engine

The Originality Engine è stato creato e sviluppato dalla classe del New Media III all’Emerson College. Il campo di indagine è la questione dell’originalità e più specificatamente cercare di dimostrare se ad oggi è ancora possibile essere originali utilizzando le combinazioni linguistiche a nostra disposizione. Il tentativo non costa nulla. Tutti possono cimentarsi nell’impresa e consolidare o dare il colpo di grazia alla propria (presunta?) ‘originale’ vena creativa. Il meccanismo è abbastanza semplice. I partecipanti sottopongono un testo scritto a ‘the Originality Engine’. Il motore dopo aver scomposto il testo in singoli periodi, utilizzando Google lancia la ricerca e registra il numero dei risultati trovati per ogni singola frase. Questo valore viene diviso per il totale dei periodi considerati in modo da stabilire il numero medio di risultati per ogni frase. Il punteggio così ottenuto rappresenta il livello di originalità della frase cercata. Più basso è il punteggio più alto sarà il livello di originalità. Per esempio un testo originale al 100% avrà un punteggio sul motore di ricerca pari a zero. Quasi superfluo precisare che la probabilità di ottenere la palma dell’originalità attraverso questo sistema si avvicina pericolosamente, questa volta si, allo zero… Ma l’esperimento offre comunque spunto per una riflessione sul concetto di determinazione della proprietà e sulla legittimità dell’alterazione come criterio di originalità. Le nuove tecnologie, dunque, ci permettono di ampliare di molto la possibilità di reperire informazioni, i margini dei campi di indagine sono molto più labili e flessibili e l’accessibilità ad una varietà di fonti, prima interdetta ad ampie categorie di persone, è enorme. In particolare gli artisti digitali si confrontano con i concetti di originalità, proprietà intellettuale e nozioni di interculturalità che, come spesso accade in questo ambito, sono oggetto di molteplici interpretazioni e si offrono come interessante punto di partenza a chi volesse approfondire l’argomento cercando di scalfire la superficie e di andare oltre definizioni universalmente riconosciute e forse per questo ormai irreparabilmente irrigidite. Prima barriera da abbattere: la tendenza a definire il concetto di network in senso letterale e cioè come una serie di computer connessi fra loro via internet, un gruppo di individui collegati da una linea telefonica, ecc. Imperativo: considerare il contesto e l’oggetto di indagine. Non c’è infatti bisogno di avere definizioni così materialistiche per dare l’idea di rete. Per esempio nel caso di ‘Originality Engine’ la lingua inglese può essere considerata un network, in quanto serie di parole, manifestazioni vocali che connesse attraverso un contesto e una specifica posizione (sintassi) danno luogo ad un preciso significato. Conclusione: la rete non è l’hardware ma uno tessuto connettivo, uno spazio virtuale, una modo di agire e inter-agire. Passaggio successivo: la rete linguistica è stata utilizzata nei modi e nelle combinazioni più disparate durante l’evoluzione e la formazione di un individuo. Quindi considerando la lunga e travagliata storia che ha segnato l’utilizzazione e lo sviluppo del linguaggio nelle sue varie incarnazioni nel genere umano, è possibile ipotizzare che ogni forma di espressione individuale abbia un potenziale di originalità? é da questi interrogativi che prende le mosse ‘the originality engine’. Lodevole intento ma gli esperimenti condotti dimostrano che la naturale tendenza a considerare le nostre espressioni scritte o orali come originali in quanto proprie, come parti della mente eterni e immutabili, per essere avvalorata da risultati positivi dovrebbe essere rivisitata nell’ottica dell’evento fluttuante, impermanente e collettivo tenendo bene a mente il concetto di rizoma inteso come un reticolo molteplice di entità polimorfe, senza inizio né fine ma a diverse entrate che connette fra loro elementi eterogenei, modificabili, acentrici, in comunicazione non gerarchica fra loro. ‘Un rizoma non cesserebbe di collegare anelli semiotici, occorrenze rinvianti alle arti, alle scienze, alle lotte sociali. Un anello semiotico è come un tubero che agglomera atti linguistici molto diversi: non c’è una lingua in sé, né una universalità del linguaggio, ma un concorso di dialetti, vernacoli, gerghi, lingue speciali. Non c’è un locatore ideale, come d’altronde non c’è una comunità linguistica omogenea. La lingua è una realtà essenzialmente eterogenea.’ (cifr Deleuze e Guattari) Il linguaggio dunque, inteso come espressione in quanto tale, è pensato, imparato e rigurgitato. Ogni cosa possa essere espressa da un individuo quasi sicuramente sarà già stata detta prima. Ogni cosa si possa scrivere sarà già stata scritta in precedenza. Perciò soltanto attraverso l’ibridazione e la commistione reticolare l’individuo interfacciandosi con i computer agisce creativamente sui codici comunicativi dando vita ad un proprio percorso espressivo, riversando nelle trame del linguaggio digitale i propri link cognitivi. Sicuramente originali. Questa volta. Naturalmente qui e ora. Provare per credere.