Human Computers, someone you can count on

humancomputersok

In origine, e possiamo andare davvero moto indietro nella storia, addirittura fino al 1600, la parola computer stava ad indicare un qualcuno che elabora calcoli. Qualcuno, non qualcosa…quel qualcosa infatti, doveva ancora essere inventato. Oggi tutti sappiamo che i calcoli stanno alla base di qualsiasi banale operazione fatta da un computer, ci sfugge però cosa questo possa effettivamente significare nella pratica. La performance Human Computers dell’artista Jeff Thompson ce lo dimostra molto chiaramente: sedici persone vengono invitate in una sorta di classe, un essenziale ambiente di lavoro simile ad un ufficio degli anni ’50 e con carta, matite, calcolatrici e circa otto ore di lavoro viene chiesto loro di misurarsi in una lunga serie di decodifiche di zero e uno. Foglio dopo foglio decodificano e ricompongono i pixel di una singola immagine PNG  che piano piano viene ricostruita e convertita in CMYK e fisicamente affissa sui muri della stanza che da laboratorio diventa così un’installazione di circa 2.400 pixel in carta, ognuno dei quali ha richiesto 67 passaggi di decodifica. Questo è ciò che all’inverso accade in maniera invisibile all’interno del nostro computer ogni volta che riduciamo un’immagine in PNG. Il progetto, commissionato da Locust Projects e dall’Università del Nevada, non solo omaggia la storia dell’informatica, ma ripercorre la nascita dell’ufficio come ambiente di cooperazione e sottolinea l’enorme evoluzione computazionale dei sistemi tecnologici del nostro presente. Il simbolismo dell’operazione ha coinvolto, infine, anche l’immagine selezionata, che altro non è se non uno screenshot tratto da Google Streetview della strada esterna. Benedetta Sabatini

 

Jeff Thompson: Human Computers