What Do Machines Sing Of?, hummed anthropomorphism

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Prestiamo – ed è una questione di natura antropologica – un sacco di attenzione alle voci, in quanto cruciali per riconoscere la presenza di un altro essere umano. Da questa stessa prospettiva, “cantare” è ancora più specifico per la salute del genere umano. Ci riferiamo soprattutto a quei brani famosi che potremmo ricordare anche solo ascoltando poche note, come quando qualche passante le accenna fischiettando. “What Do Machines Sing Of?” di Martin Backes sta tentando di fare quello che ai nostri occhi sembra essere un computer canterino, eppure non si sta usando un software che sintetizza la voce, né campioni di qualche tipo: è un’esecuzione attraverso una sorta di ronzio sintetico, con i testi e il livello di volume conformati come un’astratta espressione facciale su uno schermo. Il progetto ricorda il seminale “386DX” del net-artista Alexei Shulgin ma con un ambiente molto diverso, dove le migliori ballate degli anni novanta sono riprodotte in un loop senza fine. C’è un schermo sul retro che rivela il codice in esecuzione e la forma d’onda in tempo reale. L’antropomorfismo accennato dell’opera è chiaramente interconnesso alle stesse reazioni inconsce, ancora pregne di una loro estetica fortemente macchinica.

 

What Do Machines Sing Of?, hummed anthropomorphism