Tony D. Sampson – Virality: Contagion Theory in the Age of Networks

virality

University of Minnesota Press, ISBN: 978-0816670055, 248 pages, 2012, English
Il concetto di “viralità” nei network fu inizialmente associato all’infezione dei computer virus (e in parte è ancora così oggi), prima di venire a descrivere la rapida ed endemica diffusione dei contenuti (in genere visuali), qualcosa che è diventato un Santo Graal nel marketing focalizzato ad un interesse commerciale. La relazione appena illustrata è affine a un “linguaggio della paura”, qualcosa d’estremamente diretto che l’autore chiama “la tesi dell’iperconnettività”. La strategia è quella di sbarazzarsi dell’immunologia e del modello di malattia, guadagnando la libertà di esprimere ciò che egli definisce – da una prospettiva molto differente – “epidemiologici incontri nell’era della rete”. Lo stesso può dirsi per gli schemi “memetici” di marketing adottati dalla gente (alcuni video di YouTube ad esempio). Sampson mette in dubbio diversi semplicistici assunti darwiniani, che sono correlati con termini à la page come “viral” e “meme” chiedendosi: che cos’é realmente che si diffonde in rete? Ne da risposta, né positiva o negativa, nella sua “teoria del contagio”, basata essenzialmente sulla formulazione “monadologica” della comprensione della relazionalità sociale nel XIX secolo, teoria che vede un precursore nel sociologo francese Gabriel Tarde. Le culture associate alla viralitá iniziano a riferirsi all’influenza sociale, dunque l’infezione non é più una questione di solo contagio, dove sopravvive il più sano, ma appunto un evento di massa che può condurre alla redistribuzione biopolitica del potere causando un infezione d’amore, attorno al quale si generano le interrelazioni più cementate e che – grazie a questo potere di influenzare le decisioni, catturando emozioni ed affetti – possono efficacemente contrapporsi alla “corporate hypnosys” e al neuromarketing.