E. Gabriella Coleman – Coding Freedom: The Ethics and Aesthetics of Hacking

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Princeton University Press, ISBN: 978-0691144610, 264 pages, 2012, English
L’intero ecosistema di hacking e FLOSS sono stati raramente considerati dalla ricerca accademica, nonostante il loro agire fosse spesso identificato come una formidabile produzione collettiva. FLOSS è stato considerato più come uno “strumento” e non riconosciuto come un importante e concettuale “laboratorio” di pratiche e libertà. Coleman si concentra sulle comunità hacker e su quello che queste significano e dimostrano al resto della società. La trattazione si sviluppa lungo differenti percorsi, guardando all’identità hacker, alle occasioni d’incontro, ai modelli di relazione e alla politica. C’è – in realtà – un tentativo di descrivere un hacker “tipico”, indagato attraverso settanta diverse interviste, condotte dal vivo o via e-mail. Coleman (definito da Cory Doctorow come un “antropologo geek”) può anche essere assimilato a un etnografo hacker, per la sua presenza a una serie di conferenze di Debian GNU/Linux (“Debconfs”) e per la sua puntuale descrizione dell’organizzazione interna di Debian, oltre alla sua gestione rigorosa di preparazione tecnica, di pari passo agli impegni etici essenziali. Una delle parti più interessanti è l’analisi dei modelli economici sostenibili di FLOSS e la permeazione dei valori radicali attraverso la produzione di contenuti. Le comunità hacker sono anche caratterizzate dalla fiducia e dalla abilità dei loro membri, oltre alla condivisa consapevolezza che essi avranno un impatto sulla società “agendo” e servendo come esempi. Il tratto comune che l’autore identifica come associazione hacker proveniendo da ambienti eterogenei è la realizzazione di una “produttiva libertà”. La ricerca prende in considerazione anche la convinzione hacker che il refrain “code is speech” (il codice è il discorso) merita di diventare un paradigma fondamentale intorno a cui strutturare una parte seminale della nostra società.