Culture(s) of copy – Report from Edith Russ Haus

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La copia come strumento di riappropriazione di significato, di amplificazione e creazione di senso: è questo il territorio delle opere scelte per la mostra “Culture(s) of copy” ospitata dal 20 novembre 2010 al 27 Febbraio 2011 all’Edith Russ Haus di Oldenburg, Germania. Il plurale nel titolo riflette l’anima multiforme che ha caratterizzato la mostra sin dalla sua fase progettuale. Il Goethe Insitute di Hong Kong, committente dell’intera operazione, ha infatti scelto un gruppo curatoriale multidisciplinare, fatto di curatori di mostre ma anche di architetti urbani, docenti di letterature comparate e designer. Il risultato rispecchia con forza la sua gestazione, sia nella costante evidenza della duplicità occidente/oriente, che nelle modalità tramite cui le opere esprimono il concetto di copia.
Fare una copia di qualcosa può voler dire assicurarne la conservazione, in una parola, archiviarla. Ma la noia della burocrazia dell’archiviazione qui non ha spazio. “New Book of Mountains and Seas”, di Qiu Anxiong è per esempio un remake video (multicanale) dell’omonimo antico libro cinese sull’evoluzione. L’artista ha ritratto il mondo contemporaneo come una pungente science-fiction utlizzando però l’iconografia e il “bestiario” allegorico dell’antico libro.
Invece il video “The Last Words” nasce da spezzoni di film di propaganda del governo cinese degli anni ’60 e ’70. L’artista Zhang Peili ne ha realizzato un montaggio in loop, utilizzando solo le scene dell’eroe che muore per la patria. Questa reiterazione, enfatizzando la somiglianza delle geometrie scenografiche e delle espressioni degli attori, dissacra gli intenti didascalici dei film.
Leung Chi Wo e Sara Wong utilizzano ingrandimenti fotografici maestosi e patinati in “He was lost yesterday and we found him today”, riportando a nuova vita figure secondarie di vecchie foto giornalistiche (nell’esposizione posizionate accanto all’ingrandimento corrispondente) . La gente comune sullo sfondo degli eventi viene riportata in primo piano, ritrovando in questa copia la sua dignità storica.
L’uItima opera del primo piano è il video “Factum” di Candice Breitz in cui i colori accesi e schietti sono magnetici. L’inquietudine del doppio s’incarna nell’immagine di due gemelle (canadesi ma dai tratti visibilmente asiatici) che parlano l’una dell’altra. L’idea dell’altro come copia spesso inquieta, annullando potenzialmente la pretesa di ogni pesona di essere assolutamente unica. Questa unicità qui si scioglie in un intreccio morbido e sinuoso: le parole e i gesti delle due ragazze si completano a vicenda, senza ripetersi mai.
Con una scelta oculata i curatori hanno evitato di dedicare troppo spazio ad opere focalizzate sulla proprietà intellettuale. Cionondimeno gli “anonymous Warhol flowers” di Cornelia Sollfrank aprono la seconda sala della mostra. Paradossalmente la natura stessa delle tecnologie digitali diventa un eccellente espediente per ri-vestire ironicamente l’opera d’arte della sua aura perduta (secondo Benjamin, per sempre uccisa dalla “riproducibilità tecnica”). Dietro ogni stampa delle riproduzioni dei famosi fiori (e persino incorniciato nell’ultima stampa della serie), trionfa un chip RFID. Esso contiene informazioni sull’opera, e risulta come ironico baluardo di una delle componenti che assicurano l’originalità di un’opera: la firma. Tutti possono creare immagini simili a quelle di Cornelia (tramite il suo software netartgenerator) ma la tecnologica firma è in vendita.
Più in là ci può sedere su un divano di pelle, rassicurati dalla calda luce di un abat-jour . Qui non ci sembra strano che una TV trasmetta un documentario sull’occupazione malaysiana in Austria (Wong Hoy Cheong “Re:looking”). Allo stesso modo si ride con leggerezza per un’altra opera: la documentazione video dell’assurda impresa di un gruppo di cinesi: tagliare la punta dell’Everest di 1,86 mt (l’esatta altezza di uno dei partecipanti all’impresa). Si tratta di “8848-1.86” di Xu Zhen. La consapevolezza che sono entrambi fake è amara. La fiducia in una rappresentazione fedele della realtà da parte dei media è così flebile che si finisce per accontentarsi della sua copia più divertente.
E infine ecco il trionfo della riproduzione più alacre e fedele, della copia perfetta nella sua più estrema esasperazione: i Theme Park, che sono i protagonisti di altre due opere in mostra. Disarmante la serie fotografica “Kremlin Doppelgänger” di Anna Jermolaewa: piscine e spiagge tropicali hanno come sfondo una ricostruzione fedelissima del Cremlino. (che esiste davvero ad Antalya in Turchia, e si chiama il “World Of Wonders Kremlin Palace”). Accompagna le foto il video di un attore nei panni di Gorbaciov che tenta inutilmente di cancellare la (famosa) voglia dalla testa. E poi in “Real Snow White” di Pilvi Takala, invece un video ci mostra un’adulta vestita da Biancaneve a cui viene impedito di entrare a Disneyland. Perchè non è la vera Biancaneve. Confonde i bambini, dicono. E’ una copia falsa di quella del parco.

Artists: Qiu Anxiong, Xu Bing, Candice Breitz, Wong Hoy Cheong, Sven Drühl, Omer Fast, Anna Jermolaewa, Zhang Peili, Cornelia Sollfrank, Leung Chi Wo / Sara Wong, Ming Wong, Xu Zhen

Curatorial Team: Ackbar Abbas, Sabine Himmelsbach, Birgit Hopfener, 姜珺 Jiang Jun, MAP Office (Laurent Gutierrez/ Valérie Portefaix), Michael Müller-Verweyen, 葉德晶 June Yap, Pilvi Takala


Chiara Ciociola