Mechanical Games, videocontest online per turkers sportivi

Mechanical Games

Mechanical Games è un contest online di video a tema sportivo. Le categorie in gara sono cinque (sollevamento pesi, nuoto, hockey, scherma, pallavolo) e possono essere rappresentate realisticamente o interpretate liberamente (a volte con risultati surreali) in un tempo variabile tra i 30 i 60 secondi. I partecipanti coinvolti sono stati reclutati in modi diversi. L’artista Xtine Burrough, creatrice del progetto, si è accampata all’interno del centro culturale Cornerhouse (Manchester) per un giorno intero, trasformandolo in un “set” collettivo per i video: lo spazio (pubblico) è diventato luogo performativo, teatro di un’esperienza condivisa reale. A livello locale, workshop tenuti a Manchester e dintorni in strutture di assistenza sociale (come centri per anziani) sono stati laboratori per la creazione di altri (esilaranti) cortometraggi. Infine tramite web, è stata lanciata una richiesta ai “workers” di Mechanical Turk, noto servizio di Amazon che offre crowdsourcing on demand (volontario e a costo quasi zero). Poche e semplici le regole da seguire: ai “turkers” viene richiesto di caricare su YouTube il video della loro performance, mettendo in evidenza un foglio prestampato da compilare, con indicazione della disciplina scelta e del paese di provenienza, in cambio di un piccolissimo compenso in denaro. I video, disponibili in rete su un canale di YouTube creato ad hoc per garantirne l’accessibilità remota e complessiva, sono stati votati online . La scelta di utilizzare il servizio Mechanical Turk, usata anche nella precedente opera della Burrough “Mechanical Olympics”, non è nuova alla net art. Ma i suoi meccanismi non vengono qui esasperati per metterne in evidenza il lato marcio, come in Sheep Market di Aaron Koblin. L’uso di strumenti come la piattaforma Mechanical Turk e i video virali, quest’ultimo ormai standardizzato nelle campagne commerciali in rete, è qui un ironico sberleffo. L’obiettivo è restituire una spontaneità produttiva alla rete, come luogo testardo di un “lavoro immateriale” ancora vergine, capace di sublimare le congelate e pesanti logiche capitalistiche.

Chiara Ciociola