Web 2.0 suicide machine + Seppukoo, auto-distruzione dei social network

Web 2.0 suicide machine

Parodie dei social network sono cominciate a venir fuori già a partire dal boom di Friendster nei primi anni 2000. Le piattaforme di anti-social networking come introvertster, snubster, enemybook o isolatr hanno giocosamente sovvertito le dinamiche delle comunità online avendo come target le loro superficialità così come i loro “positivi” e rispettosi protocolli d’interazione. La costante crescita e il design che da sempre più assuefazione di Facebook ha spinto la critica nei suoi confronti ad un nuovo livello di radicalità. La web 2.0 suicide machine e Seppukoo.com sono due parodie web con una missione comune: aiutare le persone ad uscire da Facebook per sempre. Il primo, di Gordan Savicic, sfoggia un’elegante design d’interfaccia da web 2.0 e attraenti taglines, e fornisce una maniera sofisticata di automatizzare il suicidio dell’identità online. Un video del processo di smantellamento virtuale viene trasmesso all’utente in tempo reale mentre una macchina remota disconnette un “amico” dopo l’altro. Seppukoo, invece, del collettivo les liens invisibles, si presenta come una risposta estrema alla mercificazione dei dati personali guidata da multinazionali come Facebook. “Liberando il corpo digitale da ogni costrizione costrizione d’identità” les liens invisibles difendono un ritorno alle condizioni di anonimato, una pietra miliare delle prime comunità online. Il seppuku digitale è presentato come una pratica d’avanguardia e potenzialmente infettiva, o almeno così dev’essere sembrata al team di Facebook che legalmente ha minacciato gli artisti di aplicare un filtro a tutti link o post contenenti la stringa “seppukoo.” Ma il suicidio online, come notano gli autori, non è altro che un atto simbolico: la de-attivazione di un profilo non implica la distruzione delle informazioni sull’utente. I dati rimangono memorizzati nei server di Facebook per l’eternità, una ricchezza di gesti fossilizzati e di relazioni che foraggeranno le macchine di data mining negli anni a venire.

Paolo Pedercini