Tardigotchi, augmented virtuality

S.W.A.M.P.

L’affetto verso le creature viventi è stato ampiamente sfruttato nei video games. Dai primi astratti cellular automata, attraverso il seminale video game del 1985 “Little Computer People”, alla popolarità di massa del Tamagotchi negli anni novanta, e all’ultima ondata della serie “Pets” per Nintendo DS, i nostri istinti protettivi sono invariabilmente presenti quando si tratta di piccole creature digitali – spesso imitando il mondo con cui ci relazioniamo agli animali reali. Questo fenomeno accade nonostante l’essere coscienti che questi animali sono solo l’esecuzione di codice su piccoli schermi (ma non siamo forse noi solo codice DNA che si esegue in un piccolo pezzo di terra?). Sviluppato dallo S.W.A.M.P. collective, Tardigotchi connette definitivamente organismi viventi con codice altrettanto vivo. Qui una sfera di ottone ospita un tardigrado (un microrganismo) e i suoi (solo parzialmente autonomi) avatar su uno schermo LED. La risultante forma di vita digitale è espansa alla sua controparte organica in un magistrale e controverso ibrido. Le azioni effettuate sull’avatar hanno conseguenze reali sul microrganismo, per cui alimentando l’avatar di conseguenza alimenta il tardigrado, mentre mandare un’email all’avatar attiva una lampada riscaldante, dando calore allo stesso tardigrado, che pure l’avatar si gode virtualmente. La finzione dello schermo in questa relazione di amore per gli animali non può essere più una scusa per essere sottostimata. Qui il “gioco” non è semplicemente “giocato” fuori dallo schermo, ma è completamente interfacciato alla realtà. come in un racconto cyberpunk (o ancora meglio steampunk). Piuttosto che chiamarla “augmented reality”, quella in Tardigotchi dovrebbe essere definita come “augmented virtuality.”