Rita Raley – Tactical Media

Rita Raley

Univ Of Minnesota Press, ISBN 978-0816651511, USA, 2009, English
Sebbene sviluppato da un singolo contesto storico, i tactical media hanno dimostrato un potere notevolmente stabile come framework concettuale per progetti di media art politici. Nella classica teorizzazione di Geert Lovink e David Garcia per la serie di eventi Next Five Minutes, i lavori di Michel de Certeau sulla vista di tutti i giorni (tattiche come ‘l’arte del debole’) è stato notoriamente collegato alle possibilità implicite nell’emergere della cultura del consumer digitale (‘cheap electronics’ per cogliere il senso di una emergente estetica dei media schierata su fronti politici. In particolare l’efficacia del concetto originale è stato di illuminare pragmatismo DIY di fortuna che ha consolidato la grande diversità di pratica sperimentali con le tecnologia digitali e in rete del tempo, inclusa la electronic civil disobedience, la net.art e le iniziative giornalistiche come Indymedia. C’è sempre stata una certa ambiguità nel termine, comunque, una certa apertura che ha permesso nuove iterazioni alle condizioni in cambiamento. Questa qualità forse spiega l’influenza continua di quest’idea, giacchè i tactical media sono per definizione adattativi, guidati da una domanda d’inventiva e da una certa persuasione politica. Conseguentemente, sotto il titolo Tactical Media, l’accademica americana Rita Raley offre la sua versione del concetto attraverso un’analisi di progetti nodali che rispondono agli aspetti economici, politici e culturali della condizione neoliberale della passata decade. Segnato da un passaggio verso ciò che viene visto come tecniche d’intervento critico sempre più sofisticate, sebbene più dispersive, il libro è strutturato tematicamente da letture dei border hacks, persuasive gaming e la visualizzazione dei dati dei mercati finanziari. Influenti progetti dell’Electronic Disturbance Theatre, John Klima, DoEAT, Anne-Marie Schleiner e Luis Hernandez, Joseph DeLappe, Ubermorgen.com, Lise Autogena e Joshua Portway caratterizzano queste discussioni (fra le altre), ma comunque il testo non è scritto per essere una rassegna omni-comprensiva. Piuttosto, lavori come Black Shoals: Stock Market Planetarium, il software FloodNet e dead-in-Iraq sono articolati come momenti di dissenso entro un campo di potere che è sempre più frastagliato, connesso e informativo; una proposta standard supportata dalle tesi del controllo sociale Deleuziano o dalle prime proposte teoriche dei Critical Art Ensemble (CAE) nel loro The Electronic Disturbance, per esempio. Attravero Tactical Media, comunque, c’è un senso in cui questo concetto implicito si ‘resistenza culturale’ basata su eventi, è considerata di per sè, essendo basata su asserzioni per cui questi progetti implicano “un intervento e una rottura di un regime semiotico dominante”. Mentre ci sono tutti i riferimenti opportuni – pensatori come Deleuze, Virno, Hardt e Negri e la prossima generazione di cultura dei media è presente e considerata – questi sono spesso citati di passaggio senza spiegare pienamente la loro diffusione per la produzione o il recepimento di questi (già ben informati) media-works. Le conseguenze di tutto ciò sono evidenti quando Raley risponde alle problematiche concernenti i risultati pragmatici dei tactical media. Per esempio, avendo a che fare con critiche quali quelle mosse da Lovink e Ned Rossiter sul tema dei network organizzati, lei sostiene “la domanda corretta non è se i tactical media funzionano oppure no, se hanno successo o se falliscono in modo spettacolare nel compiere trasformazioni strutturali; piuttosto, dovremmo chiederci fino a che punto rinforzano le relazioni sociali e fino a che punto le loro attività sono virtuose”. La sua prospettiva enfatizza la rilevanza partecipatoria dell’audience riferendosi all’estetica relazionale di Bourriaud e alla virtuosità delle qualità performative degli scritti di Virno sulla moltitudine. Qui, la “trazione” politica si dice che avvenga nel momento in cui l’audience completa il “campo significante” di un evento, e registra “una memoria della performance.” In altre parole, non c’è nessun ovvio prodotto estrinseco da questi interventi tattici, giacchè essi sono definitivi come impegni che funzionano per trasformare l’intelletto sociale o generale. Questo è un punto cruciale che esplora a fondo nell’importante dibattito sul capitalismo cognitivo e sulla politica “nonrappresentativa”, ma è a malapena segnalato nell’introduzione, e non sostanziato o rigorosamente discusso. Una tale quasi-mobilitazione teorica è, sfortunatamente, una caratteristica ricorrente del testo, che tende a oscurare più che illuminare i complessi collegamenti tracciati. Mentre la Raley quindi si sforza di trattare un importante set ibrido di pratiche, e compie gesti che sono sia nodali che urgenti, Tactical Media troppo spesso manca di connettersi e trasformare ciò che emerge dalle pratiche di media radicali come stile sperimentale per le controversie socio-tecnologiche contemporanee. Questa tendenza è ancora più evidente in quanto reinterpretazione e adattamento so molto probabilmente così essenziali per i tactical media come movimento in sè – specialmente quanto modellati sulle mutevoli proprie prospettive e alterando la nostra presente comprensione delle cose.

Michael Dieter