Cyberskin, radicale pelle rivelatoria

Joan Healy

Sviluppando l’interfaccia uomo-macchina più “naturale” è sempre stato il Sacro Graal dell’industria informatica. I codici ancestrali che sovrintendono i nostri istintivi comportamenti sono molto spesso ingannati da segni culturali e dai loro relativi significati espressi nell’estetica dell’hardware e del software. In questo senso Cyberskin di Joan Healy è una performance brillante che svela come il corpo possa essere finalmente usato come un’estensione della macchina. La passione dell’autrice per la scena di performance art degli anni settanta è perfettamente sfruttata in questo lavoro. Nel contesto di una parodia delle fiere di IT, lei si nasconde dentro una “macchina”, in maniera tale che una piccola parte della sua schiena nuda possa essere toccata e usata dai visitatori come touchpad. Lei segretamente “disegna” con una vera touchpad, e i suoi movimenti tracciano le linee che sente disegnate sulla sua schiena. Un monitor mostra i tratti così disegnati con il touchpad ai visitatori. Un video distopico posto a lato della “macchina” documenta lo sfruttamento dei lavoratori nelle nazioni in via di sviluppo, fabbricando parti di tecnologie digitali con compiti eternamente ripetitivi. Lo strisciaredelle dita degli utenti sulla schiena di Joan crea una meta-interfaccia organica. E quando i visitatori toccano il materiale più familiare che hanno mai toccato, inevitabilmente non lo riconoscono in questo ambiente completamente decontestualizzato. Inoltre, la sequenza di causa/effetto nella macchina è altrettanto capace di offuscare i sensi. Questa (umana) mediazione è quindi in grado di inquinare l’intimità dell’interfaccia per come la conosciamo e di ridefinire i rispettivi ruoli dell’uomo e della macchina, inserendo invisibilmente un elemento (de)stabilizzante nell’interazione pre-programmata. Il video che accompagna l’installazione, infine, punta alla critica radicale dell’autrice e al suo gesto visionario.