Transmediale 08, Conspire, report

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Transmediale 08 photo set
L’edizione 2008 del Festival Transmediale si è aperta con una serie di novità importanti: un nuovo direttore artistico, Stephen Kovats che subentra dopo un settennato ad Andreas Broeckmann; il ritorno alla Haus der Kulturen der Welt, dopo i due anni trascorsi all’Akademie der Künste; la realizzazione di un libro sul tema del festival che offre al visitatore possibilità di approfondimento e spunti di riflessione critica preclusi alla tradizionale guida al programma (comunque sopravissuta); l’introduzione del Vilém Flussser Theory Award, un riconoscimento (organizzato in collaborazione con l’omonimo archivio aperto recentemente presso l’Universität der Künste di Berlino) alle migliori ricerche nel campo della teoria dei media, destinato – probabilmente già dalla prossima edizione del Festival – a trasformarsi in un progetto di residenza aperto a teorici e ricercatori. L’ampia e moderna architettura della “Casa delle Culture” ha visto l’usuale alternarsi conferenze, sessioni video, mostre, performance e soprattutto tantissimi visitatori, in un incalzarsi di eventi tanto frenetico da togliere – letteralmente – il fiato. Le ampie sale della struttura hanno sicuramente favorito la logistica, eliminando quasi del tutto le estenuanti file che hanno caratterizzato le precedenti edizioni presso l’Accademia, tuttavia una maggiore moderazione da parte degli organizzatori nel programmare sessioni parallele ed eventi in contemporanea riscuoterebbe sicuramente il favore dei più. Il tema di quest’anno, “Conspire”, è stato declinato soprattutto nelle conferenze e nella scelta dei video, se è vero infatti che a tutte (o quasi) le proposte in programma è possibile attribuire una chiave di lettura politica, bisogna anche sottolineare come, soprattutto tra le opere in mostra, è facile individuare casi nei quali l’ostentazione di un risvolto politico è solo un pretesto per dar luogo a sperimentazioni che trovano piuttosto la propria giustificazione sul fronte dell’estetica tout court. Altri momenti eminentemente politici sono stati offerti dagli incontri del Salon, intitolato quest’anno Bilderberg (in omaggio all’omonimo gruppo di cospiratori del secolo passato). La struttura poco formale degli incontri tuttavia, più che un clima da Guerra Fredda, ha favorito invece lo stabilirsi di un’atmosfera ideale per scambi spontanei ed estemporanee connessioni di idee/persone, nonché momenti ludici, uno su tutti: il Monopoly rivisitato da Hilda Yáñez. La mostra, anche essa intitolata “Conspire”, è stata curata da NataÅ¡a PetreÅ¡in-Bachelez e ha rappresentato un importante elemento di discontinuità rispetto alle precedenti edizioni nelle quali, a furia di strizzare l’occhio a galleristi e a mercanti d’arte, si era perso completamente il focus sull’arte legata alla cultura digitale. Le scelte curatoriali hanno saputo conciliare con intelligenza l’esigenza di “sdoganare” i nuovi linguaggi artistici con quella, troppo spesso dimenticata, di non snaturarli al solo fine di conferirgli il giusto appeal per il mercato. Il risultato è stato una mostra decisamente piacevole dove accanto a molte opere destinate a lasciare memoria di sè (“Amazon noir”, “End of secrecy”, “New worship” e “Transitioners”, per citarne alcune), se ne susseguono altre poco significative che sembrano essere lì proprio per consentire alla mente di decantare prima di affrontare nuovi stimoli e suggestioni. Un elemento assolutamente da migliorare è rappresentato dalle quasi inesistenti informazioni sulle opere (titolo, anno ed autore non bastano ai “visitatori professionisti”, figuriamoci a quelli occasionali) tanto nelle aree espositive quanto nella guida al programma (per tacere della cartella stampa). Trascurabile, ad eccezione di pochi casi, la sezione film e video (qui si insiste a trascurare ogni, seppur labile, connessione con la cultura digitale), nutrito invece, oltre che di gran interesse, il numero di eventi esterni rispetto alla location principale del Festival, tra essi meritano una nota particolare l’installazione “Filmachine” di Keiichiro Shibuya (in mostra presso il Podewils’sches palais) e quelle di Gregory Shakar (in mostra presso il caratteristico Gravis flagship store). Il premio per la media theory è andato a Simon Yuill (primo), mentre quello per le opere sono andati a Julia Meltzer e David Thorne per il proprio video “Not a Matter of If but When” (primo); Ubermorgen.com, Paolo Cirio e Alessandro Ludovico con “Amazon Noir” (secondo); Gordan Savicic con “Constraint City: The Pain of Everyday Life” (terzo). Il Club Transmediale, ovvero il Festival parallelo dedicato ai suoni, è stato ambientato nella consueta venue del Club Maria am Ostbanhnhof (ad eccezione di alcuni pochi eventi svoltisi presso il Ballhaus Naunynstrasse e in altre sedi). Il titolo di quest’anno, “Unpredictable”, preludeva ad investigazioni artistiche condotte tra errori, coincidenze ed altri eventi suscettibili di alterare le dinamiche dell’atto creativo. I momenti più apprezzati del ricco programma sono stati – senza dubbio – la battaglia creativa di “Sonic Wargame” e il “Kassetten konzert” dei tedeschi Schnizeler e Seidel. “Unpredictable” sono state anche alcune performance musicali, in senso positivo gli inglesi Andy Stott e Claro Intelecto, in negativo soprattutto quella dei Mouse on Mars (che attraversassero un momento di riflessione sulla propria identità artistica lo si era capito, assistere ad un concerto di una rock band, con tanto di rituali schitarrate, è stato invece un evento che ha lasciato tutti alquanto perplessi). In definitiva Transmediale si conferma uno dei momenti topici per tutti gli addetti al settore: come mancare? Allo stesso tempo: come non fare una riflessione sul momento particolare che la cultura digitale sta vivendo? Se è vero che si è usciti dal ghetto della cultura underground, e in tal senso importanti meriti vanno indubbiamente riconosciuti all’attività più che ventennale del festival berlinese, è altrettanto vero che la confusione regna sovrana: artisti, musicisti e teorici che prima avevano una precisa identità sembrano ora smarriti come personaggi in cerca di autore. C’è chi ha accettato logiche e paradigmi della cultura mainstream e dei contesti istituzionali, c’è chi conduce battaglie di retroguardia e resiste nel solco dell’antagonismo, c’è poi chi rimane nel mezzo, indeciso sul da farsi. In questa situazione caotica i grandi festival pagano il dazio di essere costituzionalmente inadeguati a “fare il punto”, la necessità di rappresentare un universo il più possibile ampio impedisce, infatti, di focalizzare l’attenzione su un preciso fenomeno. In tale momento di ridefinizione di un movimento, il pubblico risulta smarrito e finisce per privilegiare i piccoli eventi che, seppure forniscono una visione necessariamente parziale dei fenomeni analizzati, consentono almeno di tornare a casa con una qualche certezza in più.

Vito Campanelli