Spinal Rhythms, evoluzione autonoma dei comportamenti ritmici e in moto di un robot bio-mimetico

Eva Schindling

Le riflessioni sulla vita artificiale si sviluppano, per lo più, intorno al dogma della rappresentazione digitale: solo ciò che può essere rappresentato su uno schermo può essere affrontato e compreso. Questo tipo di approccio ci allontana da tutte quelle forme di vita artificiale che hanno una propria materialità, è il caso dei robot la cui consistenza fisica si impone costringendoci ad interazioni non mediate da ulteriori interfacce. Il tentativo di attraversare il confine della rappresentazione nell’approccio ad un’installazione artistica robotica è alla base di Spinal Rhythms, un’opera realizzata da Eva Schindling per la sua tesi di ricerca in “Arte e tecnologia” presso l’Università di Göteborg. Si tratta di una struttura metallica piuttosto semplice che sfrutta alcune molle poste nelle giunture per descrivere movimenti elastici e graduali, lontanissimi dal rumoroso incedere a scatti che siamo soliti associare alle forme robotiche. Lo scheletro del robot e le sue giunture sono attivati da algoritmi computazionali, tuttavia i suoi movimenti sono frutto dell’interazione tra software, struttura fisica ed ambiente. La “creatura” della Schindling (o meglio il relativo sistema di controllo) impara infatti ad adattare l’intensità dei propri movimenti all’ambiente circostante, cercando di trovare un punto di equilibrio in grado di offrire il massimo di attività possibile con il minimo consumo di energia. In questa maniera il movimento diventa l’espressione dell’individualità del robot o, in altre parole, il linguaggio attraverso il quale la creatura comunica al mondo la propria identità. Inoltre lo sforzo di adattarsi alla morfologia ed alle condizioni ambientali, in assenza dell’intervento umano, conferisce al robot un certo grado di vita autonoma e, in qualche maniera, una minima consapevolezza del proprio corpo. L’installazione dell’artista austriaca apre scenari interessanti nella direzione di un approccio alle forme di vita robotiche incentrato non più sull’ossessiva esigenza dell’uomo di mantenere il controllo completo sulle proprie propaggini artificiali, bensì sull’osservazione delle dinamiche evolutive spontanee che si determinano in contesti nei quali le condizioni non sono preventivamente pianificate. Tale approccio è particolarmente significativo in ambito artistico dove è foriero di infinite considerazioni sulla portata ed i limiti dei sentimenti estetici indotti dalle forme di vita artificiale.

Vito Campanelli