Betablocker, livecoding e performance musicale

Betablocker

Il livecoding consiste nello scrivere un programma, o parte di esso, mentre questo è in esecuzione. Tale pratica perciò connette profondamente la casualità algoritmica con il risultato percepito e, decostruendo la dicotomia temporale tra strumento e prodotto, consente al codice di essere messo in atto come un processo artistico. BetaBlocker, progetto ideato dal software artist Dave Griffiths è tanto una performance di livecoding quanto una parte di programma. L’autore la definisce una ‘virtual acid techo machine’, programmata in tempo reale attraverso un gamepad per creare codice e processi che si modificano e distruggono l’un l’altro in 256 bytes di memoria. La memoria della macchina e i processi vengono proiettati e sono parte integrante della performance. Il software è scritto in ‘fluxus’. un piccolo motore di rendering, che genera animazioni dal suono. Il ritmo dato dai numeri di istruzioni e di jumps è diretto risultato del processo. I cosiddetti livecoders propongono un approccio inflessibile alla comprensione dell’arte basata sul software: il codice e il processo dovrebbero essere visibili al pubblico e non nascosti come una scatola nera. Tuttavia, come si legge nella bozza del Manifesto del Toplap (The Temporary Organisation for the Promotion of Live Algorithm Programming) “non è necessario che l’audience comprenda il codice per apprezzarlo, tanto quanto non è necessario sapere suonare la chitarra per apprezzare una performance chitarristica”. Il livecoding consente l’esplorazione di spazi matematici astratti come atto di improvvisazione intellettuale e, in quanto improvvisazione intellettuale, la pratica può essere collaborativa. In BetaBlocker c’è poi qualcosa di peculiare legato proprio alla performance live. I beta-blockers, infatti, sono medicamenti cardiaci comunemente usati dai musicisti per rilassare i nervi prima di un concerto. Bloccando l’azione dell’adrenalina e di altre sostanze, queste medicine agiscono sul sistema nervoso simpatico che produce paura in risposta alla percezione di pericolo. Gli effetti sembrano portentosi: i beta-blockers non solo calmano i musicisti, ma pare addirittura che migliorino le prestazioni a livello tecnico. Sottolineando questo aspetto ‘dal vivo’, il titolo dell’opera sembra sostenere ‘l’umanizzazione della musica generativa’ dove il codice non è lasciato a se stesso nell’elaborazione della musica, ma è modificato, frammentato e modellato in maniera interattiva per produrre della musica live.

Valentina Culatti