Pongmechanik, il pong meccanico.

Pongmechanik

Il ‘pong’, ossia il primo videogioco che abbia fatto breccia attraverso l’origianle e vari cloni nelle famiglie degli anni a cavallo fra gli anni 70 e 80 (al suo lancio paragonato al tennis, di cui stilizza il meccanismo fondamentale), è ormai un concetto a sè stante. A quasi trent’anni dalla nascita del pong ci sono rielaborazioni che fanno uso del suo celeberrimo modello per veicolare interpretazioni diverse, come l’eccellente Pongmechanik di Niklas Roy. Si tratta di un pong elettromeccanico costruito con principi rigorosi. La scelta di non utilizzare microprocessori o elettronica, ma relè telefonici, ad esempio, è una precisa scelta per dare omaggio a Konrad Zuse e al suo primo computer del 1935, similmente assemblato. Fra l’altro ciò che è stata faticosamente implementata è la ‘visibilità della computazione’, all’epoca necessaria per controllarne il funzionamento, ora usata come estetica rivelatrice e perfettamente in linea con la tendenza alla ‘trasparenza’, usata nei primi iMac e tuttora nel ventaglio delle opzioni di successo dei designer. L’uso di vetri trasparenti, infatti, e la possibilità di sentire distintamente il suono meccanico dei relè in atto, rende partecipi dei processi in corso in maniera visibile e ascoltabile, svelando ogni meccanismo dietro le azioni dei due giocatori. Per il resto si scatena quello che potrebbe essere definito come ‘effetto pong’, già utilizzato in ‘Painstation‘, di Tilman Reiff e Volker Morawe, capace di imprimere scosse elettriche a chi perde, e in ‘The Intruder‘ di Natalie Bookchin, dove la vittoria di un match consente di accedere ai paragrafi successivi di un’opera di letteratura elettronica. Il paradigma immediato e l’interazione ipnotica del gioco riescono ancora una volta a sancire la percezione universalità della sua astrazione geometrica.