Cyberglam Technosleaze

Capii che sei quello che vedi.
Kathy Acker, L'impero dei non sensi

Guardate analiticamente cio' che vi sta' dinanzi continuando a spostare occhi e attenzione.
Aldous Huxley, L'arte di vedere

Reti, computer, autostrade elettroniche, telematica globale, realta' virtuale, telepresenza, tecniche avanzate di simulazione digitale. Le tecnologie dell'era informatica sono qui e adesso. Il collasso del futuro sul presente e' gia' accaduto. La decentralizzazione delle fonti del sapere e la loro moltiplicazione esponenziale ci proiettano in uno spazio metamorfico vertiginosamente piu' ampio di quello che tradizionalmente si reggeva sulla gerarchia di conoscenze mantenute inaccessibili: la trasformazione e' totale. Ridisegna integralmente la nostra societa'. Il prezzo da pagare, per molti, e' un adeguamento doloroso delle sensibilita'. La tecnologia non ci e' estranea, non e' qualcosa di alieno, separabile dalla nostra intima natura, e' diventata una seconda pelle, con essa stabiliamo un rapporto diretto, a volte inconsapevole, che ci trasforma nel profondo segnalandoci nuovi ambienti sensoriali, porte di ingresso ad amplificati stati dell'essere. Scienza e tecnologia si moltiplicano, si insinuano ovunque, proliferano nel sociale dettandone in misura sempre maggiore i linguaggi, modificando in maniera pervasiva le nostre modalita' di autorappresentazione, creando un nuovo spazio percettivo, una differente visione del mondo che ci circonda. Potente il sistema di suggestioni, patologie dell'immaginario quasi, che in questo quadro di riferimento investe in primo luogo gli ambiti artistico-comunicativi o comunque correlati ad una sfera estetica dell'esistenza. L'arte, il design, l'architettura, lo stilismo di moda piu' radicale, la musica nelle sue molteplici sfumature, il cinema indipendente, il video e la grafica pubblicitaria sono soltanto alcuni degli specifici toccati dalla potenza del fascino cyberglam, versione ultra-contemporanea, sofisticata e patinata, di un recupero entro logiche di mercato, di quell'integrazione tra il regno dell'high-tech e il mondo del pop underground di cui gia' negli anni '80 ci parlava Bruce Sterling. Il cyberglam e' il sogno ad occhi spalancati dei nostri tempi sgualciti. Estetizza la spazzatura (il trash) e perverte il fashion. Un immaginario che ha gia' mobilitato i modelli 'tossici', 'marchettari', di Calvin Klein e la bellezza diafana e malata di Kate Moss contro l'estetica flou del Mulino Bianco e di "dove c'e' Barilla c'e' casa". Non c'e' piu' casa. Cyberglam e' la faccia e il corpo di Orlan, il cranio di Goldie, lo sguardo da un altro pianeta di Bjork. L'elemento estetico che al nascere del moderno era diventato presupposto indispensabile di una stilizzazione della vita ideale, nell'epoca postmoderna delle tecnologie digitali, inflazionato dalla sovrabbondanza dei segni, teorie, informazioni, immagini, trasferisce il suo carattere spirituale dal mondo dell'arte a quello delle merci. Siamo giunti allo stadio ultimo dell'estetica integrata alla produzione, allo 'styling' definitivo che non si preoccupa piu' di alcuna funzione e che diviene al contrario funzione felice dello statuto stesso di merce. Anche questo e' cyberglam. Qualsiasi segno puo' essere convertito in qualcos'altro, si puo' essere qualunque cosa. Ansiosi di fonderci con il bianco degli schermi, di abbandonare il fardello del nostro corpo obsoleto, navighiamo spersi nello spettacolo della societa' contemporanea. L'alienazione televisiva, la curiosita' per le realta' virtuali e i mondi sintetici offerti dalle tecnologie non sono forse frutti di questi stessi turbamenti? In quanto consumatori, siamo consumatori di illusioni, queste illusioni, la sostanza di cui sono fatti i sogni, sono riprese, telefilmate, fotografate, sceneggiate, elaborate, manipolate, teletrasmesse o stampate, sono conformate per risultarci attraenti e nuove, per colpirci gli occhi e lo stomaco. Esistono pero' diversi livelli di elaborazione di questo consenso generalizzato. Nella frammentazione gia' in atto del mercato, delle culture, degli stili di vita, non tutto e' piu' riconducibile ad una fruizione complessivamente 'di massa'. Pubblicitari e copywriter l'hanno capito prima di critici e teorici. L'idea di una societa' dei consumi di massa fa i conti con le innumerevoli sottoculture che si sottraggono con lingue differenti ai codici dominanti spostandone i confini, i gusti, gli orizzonti culturali, annettendo nuove possibili identita'. Culturizzazione della realta', estetizzazione della merce, de-estetizzazione dell'arte, schizofrenia identitaria dei soggetti. Siamo attratti nello spazio vuoto di un vortice: l'hype', l'eccitazione che deriva dall'impatto e dalla ripetizione delle immagini e delle sensazioni prodotte ininterrottamente dal sistema planetario delle comunicazioni. La realta' e' diventata un fatto di nervi, i nervi sono diventati un fatto di informazione. L'operazione del consumo, anche culturale e artistico, sganciata dalla morale sociale della modernita', appartiene ormai ad un universo puramente allucinatorio. Perfino le componenti interattive e dialogiche dei media elettronici usati nell'arte contemporanea non possono assicurarci o illuderci piu' di tanto sulle rinnovate capacita' di socializzazione indotte da un approccio di tipo comunicativo-immateriale. Solo immagini che si strofinano contro immagini, informazione che si strofina contro altra informazione. Come dice McLuhan, il mondo instantaneo dei media ci coinvolge tutti e di colpo, senza possibilita' di distacco, senza possibilita' di cornice, soprattutto. E' vano cercare consolanti ripari. In questo orizzonte, le tecniche tradizionali di rappresentazione entrano in crisi, forse e' solo questo che accomuna genericamente le attuali esperienze artistiche di matrice virtuale e tecnologica, tutto il resto e' sicuramente gia' consumato e rapidamente lo diventa anche quello di cui stiamo parlando. Come fotogrammi di un film senza fine, proiettatici addosso a velocita' accelerata, le immagini non rimandano piu' a niente, sono movimento puro e assoluto, che rende impossibile qualsiasi distanza per la riflessione, qualsiasi spazio teorico dove indugiare troppo a lungo. Non siamo piu' noi stessi, il nostro sentire si e' fatto impersonale, duro, cinico, a volte intriso di un'amara ironia. E' il disorientamento tipico di ogni vera rivoluzione, l'ansia di una domanda che straordinariamente ci invita al coraggio della mutazione, rendendo piu' estreme e urgenti svariate conseguenze. Il filosofo Mario Perniola pare convinto che per penetrare meglio la sensibilita' contemporanea "e' necessario un handicap, uno svantaggio psichico o fisico, che puo' venire dalla pratica della filosofia o delle arti, oppure dalla malattia o dalla minorazione sensoriale, o da entrambe", in altri autori, l'accento, prendendosi veramente tutto il rischio della teoria, e' posto maggiormente sull'apertura epocale di una situazione in grande movimento, sulla creazione di 'mondi possibili'. Oscilliamo tra questi estremi cercando un acrobatico equilibrio che armonizzi analisi e desideri, disagio per il quotidiano e voglia di testimoniare fino in fondo il presente. Su questa terra, in questo momento, nella mia stanza, nelle strade, e non su qualche astronave interstellare, non solo sullo schermo tremolante di qualche computer. Oggi, ora, adesso, occorre mantenere uno sguardo lucido, acceso, libero da vecchie convenzioni ma attento a troppo facili entusiasmi, anche se di entusiasmi abbiamo bisogno per vivere, per coltivare il nostro continuo bisogno di stimolazioni.

Aurelio Cianciotta Mendizza



Associazione Culturale Multilink
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